“Non riesco ad accettare che un pittore non debba o non possa fare altro che dipingere. Con questo voglio dire che mentre molti considerano, per esempio, la lettura dei libri eccetera una perdita di tempo, io al contrario ho l’impressione che – lungi dal lavorare meno o peggio, se si cerca di approfondire un altro ambito così strettamente legato alla pittura – si lavori addirittura di più e meglio, anzi, il punto di vista dal quale si considerano le cose e le concezioni che si hanno della vita sono importanti e influiscono molto sul lavoro.
Più si ama, e più si agirà, credo, perché l’amore che è un semplice sentimento, non lo considererei nemmeno come amore.” (Vincent Van Gogh, lettere [345], Einaudi Editore)
“Conteniamo moltitudini” affermava Pessoa, e mai come adesso questo dovrebbe essere non solo ricordato costantemente, ma diventare una vera e propria traiettoria esistenziale. Un progetto del nostro essere.
Dato che ci ritroviamo ormai in un mondo, anche molto social, dove le identità sono fluide ma non molteplici. In un mondo dove si può essere “tante cose”, ma l’aspetto che resta è quello monodimensionale del consumatore, dove gli aspetti creativi sono semplicemente al servizio del consumo o della pubblicità.
Nell’era della iper-specializzazione, dove cioè le professionalità sono spesso ridotte a protocolli valutati come migliori solo in funzione del livello di adesione ad un modello pre-ordinato, si è perso il senso di originalità e spinta creativa.
Questo è visibile non solo nel tragico binomio tra “specializzazione-identità fluida”, ma anche nell’eccessiva valorizzazione del lavoro di gruppo. Quest’ultimo elemento infatti, che contiene in sé moltissimi aspetti positivi (il dialogo, il confronto, l’unione e la collaborazione), rischia in ambito professionale di mettere in ombra gli aspetti di originalità e creatività del singolo.
Elementi questi che sono, e devono assolutamente essere, perturbanti per l’ambiente. Il quale tende sempre al conformismo e alla stasi. Ovvero al mantenimento della zona comfort.
E’ per questo che lo scritto di Van Gogh, come tutta l’opera di Pessoa diventano punto di partenza essenziale, in un periodo come questo. Dove la solitudine è ridotta ad isolamento e non ad elemento propulsore di una individualità che poi si svilupperà nel mondo, portando con sé la propria forza nutrice.
L’altro grande elemento è che ognuno di noi è chiamato a sviluppare, il più possibile, le diverse dimensioni della propria personalità. E questo può avvenire unicamente alimentando e mantenendo vive le proprie passioni. Anche quelle che apparentemente sono lontane dal proprio lavoro, o che addirittura possono sembrare in opposizione.
Non è distrazione ma crescita.
Francesco Urbani
Psicologo-Psicoterapeuta-Supervisore
Cerchi nella notte – Il libro
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