Parlare del ruolo del corpo rispetto al tema dell’identità, significa prendere atto che lo si può fare unicamente in modo parziale, perché il corpo è una materia che riguarda molte discipline.
Il senso del corpo, e l’esperienza che l’individuo fa del corpo, subisce inevitabilmente l’influenza di diversi fattori, uno dei quali è la sofferenza psichica. E questo ha particolare valore soprattutto negli stati di malinconia, solitudine e tristezza.
Non dobbiamo, innanzitutto, mai smettere di sottolineare quanto le emozioni influenzino, non solo come ci sentiamo, ma anche i modi in cui ci si sente nei confronti del proprio corpo.
Soprattutto quando non c’è un’espressione verbale di quel che si prova, questi sentimenti possono essere portati alla luce soltanto leggendo il corpo, il quale a questo punto è l’unico depositario (e l’unico contatto sociale) delle emozioni inespresse.
Certamente non è semplice “leggere” il corpo, ma vi si può riuscire se si diventa abili ascoltatori, che sanno utilizzare verso l’altro le proprie sensibilità.
Guardare cosa si nasconde dietro uno sguardo, un volto, un’espressione della bocca.
Saper osservare cioè, all’interno di quei luoghi dove la vita razionale lascia il campo alla parte emotiva.
Quello che non deve essere mai dimenticato è che le emozioni sono in contatto costante con il corpo, e da esso non possono mai prescindere.
Emozioni vissute in un corpo vissuto.
Troppo spesso si pensa al corpo come qualcosa di lontano, e questo soprattutto quando si ha a che fare con la sofferenza psichica (con i lati fragili dell’essere umano). Ma questo atteggiamento non è assolutamente giusto, perché implica il ridurre ad oggetto il corpo, che invece ne è uno degli elementi fondanti.
Con ciò non bisogna ovviamente cadere in un altro errore, ovvero quello di pensare alla sofferenza, e al disagio, come semplice mal funzionamento di un singolo organo corporeo denominato cervello.
L’atteggiamento dovrebbe essere, invece, quello di pensare (e di relazionarsi) al corpo, nelle sue manifestazioni, e nei suoi diversi modi d’essere.
Davanti ad alcune sofferenze, o esperienze traumatiche dell’essere umano, la parola viene meno, ed il linguaggio verbale è muto. Quel che resta, in tali condizioni è il linguaggio del corpo, che diviene la porta di accesso verso quelle regioni dell’anima che si sono rifugiate nel silenzio.
Qui il ruolo privilegiato ce l’hanno gli sguardi, i sorrisi, le lacrime, gli occhi che aprono profondità, i corpi che sentono “il poter condividere” anche nel silenzio. Ci si può, in questa forma comunicativa, sentire non più disperatamente soli, perché il silenzio è emotivamente connotato di significati.
In questi luoghi, e in questi spazi, ciò che era segreto può essere reso decifrabile, tramite quelle intuizioni che vanno incontro “l’altra parte” della realtà “evidente” della persona.
È il linguaggio del corpo a non dover mai essere dimenticato, nell’ambito delle relazioni umane, perché in esso si può trovare un senso degli accadimenti, che a volte nel solo uso delle parole rischia di essere mistificato, o banalizzato.