L’intera vita dell’anima umana è un movimento in penombra. Viviamo, al crepuscolo della coscienza, mai certi di cosa siamo o di cosa pensiamo di essere. Nei migliori di noi vive la vanità di qualcosa, e un errore le cui dimensioni non conosciamo. Siamo qualcosa che avviene nell’intervallo di uno spettacolo; a volte, attraverso certe porte, intravediamo quel che forse non è altro che uno scenario. Tutto il mondo è confuso, come voci nella notte.
Ho appena letto queste pagine, su cui registro con durevole chiarezza, e mi interrogo. Cos’è questo, e a cosa serve? Chi sono quando sento? Che cosa muoio quando sono?
Come qualcuno che, da molto in alto, tenti di distinguere le vite giù in valle, così io mi contemplo da una vetta, e sono, con tutte le cose, un paesaggio indistinto e diverso.
E’ in queste ore di abisso dell’anima che il più piccolo particolare mi opprime come una lettera d’addio. Mi sento costantemente alla vigilia di un risveglio, soffro l’involucro di me stesso, in un soffocare di conclusioni. Volentieri griderei se la mia voce giungesse da qualche parte. Ma c’è un grande sonno in me, e si sposta da una sensazione a un’altra, come una successione di nuvole, che cospargono di diversi colori di sole e di verde il triste prato dei vasti campi.
Sono come qualcuno che cerca a caso, non sapendo dove sia stato nascosto l’oggetto che non gli hanno detto cosa fosse. Giochiamo a nascondino con nessuno. C’è da qualche parte un sotterfugio trascendente, una divinità fluida e solo udita.
Rileggo sì, queste pagine che rappresentano ore povere, brevi riposi o illusioni, grandi speranze deviate verso il paesaggio, tristezze come stanze in cui non si entra, alcune voci, una grande stanchezza, il vangelo da scrivere.
Ognuno ha la sua vanità, e la vanità di ognuno è il suo dimenticare che esistono altri con un’anima uguale. La mia vanità sono alcune pagine, alcuni brani, alcuni dubbi…
Rileggo? Ho mentito! Non oso rileggere. Non posso rileggere. A cosa mi serve rileggere? Ciò che è lì è altro. Non capisco/più/niente…
Fernando Pessoa da "Il libro dell'inquietudine" (239) (10/4/1930) ed. Einaudi
Francesco Urbani
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