Innanzitutto va evidenziato che la mancanza di rispetto è sempre un gesto aggressivo, che se meno visibile dell’aperto insulto, non significa che non provochi ferite anche prfonde e dolorose.
Nella mancanza di rispetto non c’è riconoscimento, ma anzi vi è una “assenza”: non si è visti, ma si viene (mal)trattati come “invisibili” tramite una violenta indifferenza.
A volte il rispetto, che dovrebbe essere un elemento del tutto naturale all’interno delle relazioni umane, arriva a scarseggiare come se fosse raro e quindi molto prezioso.
Questo avvenimento è ancor più grave quando la mancanza di rispetto avviene nei confronti delle persone fragili (o che manifestano una fragilità). Il rispetto si dovrebbe manifestare sempre, anche quando i ruoli sociali sono molto diversi, o quando le posizioni relazionali sono asimmetriche.
Il rispetto, attraverso gesti e comportamenti, valorizza e riconosce la dignità dell’altro e non la mette mai in posizione di sottomissione.
È nel rispetto maturato dal desiderio di crescere e non sentirsi mai “completi”, che emerge il dialogo e la messa in discussione di sé.
È anche con il rispetto che avviene in contatto con l’altro, in una forma di intimità che riconosce innanzitutto la dignità.
Le relazioni umane devono basarsi su questo fondamentale elemento, perché non possano mai ledere la dignità dell’altro, ponendolo in condizione di inferiorità. Devono anzi aprire ad una comprensione che sia la più lontana possibile da ogni pregiudizio.
L’altro, in ogni tipo di rapporto, deve essere visto, percepito e vissuto, nel suo essere libero.
Nel dialogo chi è in ascolto deve comprendere quando può (o non può) interrompere, e chi parla deve aiutare l’interlocutore a porre domande, solo in questo movimento può esserci conoscenza reciproca.
Quando, invece, prevale il desiderio del singolo, quando l’insensibilità diventa un valore di cui vantarsi, e quando viene a mancare il senso della rinuncia che si fa dono per l’altro, allora il rispetto non ha più cittandinanza. Il rispetto scivola in un silenzioso esilio, lontano dagli affetti e dall’esser umano.
Questo vale soprattutto per le fragilità, gli stati di bisogno e il disagio psichico, che rischia di non vedere risconosciuta la propria peculiare dignità, soprattutto quando le “etichette” diventano facili spiegazioni, quando i preconcetti impediscono una autentica comprensione e quando al dolore si risponde con un banalità semplicistiche.
Noncuranza e negligenza nei confronti della sofferenza, non fanno altro che generare un impoverimento che è creazione unicamente di solitudine.
Rispettare sempre la libertà di ragionamento è quindi fondamentale, anche nei momenti di disaccordo, che devono diventare non “banale accettazione dell’altro”, ma ascolto, comprensione, confronto, e approfondimento delle radici delle idee.
L’altro è sempre qualcuno con cui parlare, e non qualcuno di cui parlare. Non sottrarsi all’incontro, anche quando questo significa “scoprirsi” ed essere in difficoltà, perché è in questi luoghi che l’umanità prende corpo e si accresce di affettività e conoscenza.
Tutti gli uomini sono persone che mai meritano l’indifferenza, intellettuale e del cuore, e ciò vale per ognuno, soprattutto per i più fragili, come bambini o persone sofferenti.
Ognuno deve contare perché è in possesso di una dignità inviolabile.
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