Bisogna ricordare che quotidianamente ci sono dei bambini che subiscono forti violenza psicologiche, spesso conseguenza di una “cultura delle relazioni” basata non sulla collaborazione o sul dialogo, bensì basata sul dominio e la sopraffazione dell’altro.
La violenza psicologica nei confronti del bambino, a differenza di quella fisica e sessuale, è molto meno visibile ma in realtà ben più frequente e carica di conseguenze altrettanto devastanti.
La violenza psicologica infatti ha confini “confondibili” e viene mascherata non di rado come “pedagogia rigida”, oppure come “cultura dell’autonomia”. “In questo modo il bambino imparerà a cavarsela da solo e non sarà dipendente da nessuno”, dicono i “fautori” di queste violenze.
Indubbiamente questo atteggiamento, in una società che idealizza il “self made man” e che vede il problema “dipendenze” diffondersi ovunque, una cultura della persona ultra-indipendente (allenato magari in modo para-militare) ha trovato terreno fertile. Arrivando così a legittimare forme “educative” che sono unicamente forme mascherate di violenza psicologica.
Soprattutto nei confronti dei bambini, ma non solamente verso di essi.
Inoltre la violenza psicologica ha fondamentalmente due forme, una attiva che si manifesta tramite “atteggiamenti rigidi” e una passiva, che si declina mediante “assenze” e “negligenze”.
Anche se questi comportamenti sono meno ambiti, rispetto all’abuso sessuale e alla violenza fisica, nondimeno hanno effetti drammatici sul bambino, sia nel suo profondo sia nell’influire negativamente sul suo sviluppo.
La violenza psicologica ha degli aspetti peculiari e infinitamente dannosi, infatti è perpetrata solitamente molto precocemente in tempi protratti e continuativi. E il suo manifestarsi raramente è diretto ma avviene mediante ambiguità e messaggi paradossali, dove quindi il bambino non ha alcuna capacità/possibilità di proteggersi.
Proprio l’ambiguità e il suo “essere indefinito” rendono la violenza psicologica estremamente dannosa, perché il bambino ad essa non può manifestare opposizione alcuna.
Quindi il percorso evolutivo si trova a subire una grave distorsione con la conseguente difficoltà nella strutturazione del proprio Sé.
Il non sentirsi amato e desiderato, colpiscono dolorosamente uno dei bisogni più importanti (e fondamentali) del bambino, quello di sentire di avere uno “spazio” nella mente e nel cuore dell’adulto (genitore-caregiver).
Feriscono e ledono in modo drammatico il suo bisogno di sentirsi protetto, e la sua capacità di sentirsi “parte attiva” nel mondo.
La violenza psicologica lascia nel bambino e nel futuro adulto, un senso di spaesamento che è intriso di impotenza, sospettosità e bassa autostima.
Si troverà sempre ad essere accompagnato da una profonda sensazione di inadeguatezza, con la paura di non riuscire bene a decodificare la realtà.
Tutto questo lo porterà a non essere assertivo, ma solo impaurito, come si gli altri (di cui sospettare sistematicamente) ne sappiano sempre più di lui.
Francesco Urbani
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it
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Grazie di questo articolo. Mi ha commosso leggerlo. Difficilmente ho incontrato persone in grado di riconoscere la gravità della violenza psicologica e le conseguenze che essa provoca nell’età adulta, nelle relazioni e nella vita in generale di chi l’ha subita. Spesso l’interlocutore a cui si raccontano queste cose, immediatamente le paragona alle violenze fisiche “di gran lunga peggiori!”, e immediatamente ti senti un cretino che si autocommisera.
Il seguito poi assomiglia ad un destino inevitabile: grazie al copione familiare -ha pure un nome- dopo i maltrattamenti subiti in infanzia, dai quali non siamo riusciti a difenderci e proteggerci, di solito seguono quelli delle relazioni affettive successive, spesso con persone perverse, nella sostanza simili ai genitori. Se poi per cultura hai diritto ad un solo uomo, il primo appunto, sei spacciata. Per fortuna io ho potuto concedermi, non senza critiche, più uomini nella mia vita, migliorando di volta in volta prima nella durata e poi nella qualità delle relazioni poco sane: 10 anni col primo “maniaco”, solo 3 col secondo perverso, casini vari e finalmente una lunga e importante relazione con una persona che ha solo semplici “difetti” e non gravi problemi di personalità. I miei primi due partner erano così abili da rischiare di finire il lavoro cominciato dalla mia famiglia: far credere prima di tutto a me che io fossi il problema, che io fossi sbagliata e da correggere, malata e quindi inaffidabile e assolutamente non credibile, magari da rinchiudere se non mi fossi lasciata salvare dal loro “amore”. Un vero incubo da cui si esce feriti profondamente di ferite invisibili. E per questo doppie: nessuno le può vedere, nessun medico può accertarle con assoluta sicurezza come per un abuso sessuale e quindi in gioco c’è doppiamente la tua credibilità, il senso stesso della tua vita.
Ancora si colpevolizzano le vittime (persone che sono state “confuse” fin da piccolissime) di non fare abbastanza, di essere responsabili delle loro tragedie.
Grazie di questo articolo. Ho vissuto abbastanza e fatto sufficiente esperienza per potermi guardare indietro e rivedere la mia storia con gli occhi della consapevolezza. Ora so che tutto quello che ho passato, per quanto doloroso sia stato, ha un senso. Adesso vedo con sufficiente chiarezza le responsabilità di tutti. Finalmente so la verità invece di essere la prima a dubitare di me stessa.
Ho imparato, nel tempo, provando e riprovando, sbagliando e soffrendo, a strutturarmi, a proteggermi. Per anni mi sono sentita sola, incapace di mettere confini e farli rispettare e accusata di essere sbagliata. E’ stato orribile. Ho imparato che difficilmente nella nostra società viene riconosciuta la sofferenza emotiva e psicologica. E che non se ne occupa quasi nessuno, se non in forma di correzione.
Per un certo tempo, per sentirmi davvero al sicuro, ho desiderato che tutto il mondo sapesse la verità e soprattutto volevo ricevere un riconoscimento universale della mostruosità delle persone che mi hanno fatto del male. Avevo bisogno di riconoscimento perché mi sentivo che da un momento all’altro persino io avrei potuto tornare a dubitare di me stessa. Ho avuto molta paura. Credevo che per salvarmi veramente contasse solo se erano gli altri a vedere. Da quando ho fatto ordine nella mia storia, dopo essermi circondata di persone che mi vogliono bene, e dopo aver visto con chiarezza, ho meno bisogno di un riconoscimento mondiale. Ma per non sbagliare, appoggio qui e là “brevi” testimonianze della mia storia… per essere sicuri che non vadano persi. Grazie di averli accolti.