Il tema della peste è presente da sempre nella storia dell’uomo, questo porta sempre con sé l’aspetto della “indifferenziazione” della mancanza di specificità.
Le pandemie creano sempre un capovolgimento, sia reale sia nella fantasia. L’onesto diventa ladro, il virtuoso diventa dissoluto. Amici diventano nemici. Il sospetto dilaga.
Le gerarchie sociali sono violate e infine abolite. La paura della epidemia vanifica il sapere accumulato, e egual fine fanno tutte le categorie di giudizio.
Nel delirio collettivo vi è sempre una categoria che sarà sempre più colpita delle altre. Anziani, malati, bambini, donne…
Le epidemie e le paure antecedenti (anche quelle ingiustificate) distruggono ogni forma di specificità e di individualità. La peste valica ogni confine. Tutto procede verso il timore della “fine” e della morte (elemento questo che elimina supremamente ogni differenza).
Il disordine porta nei luoghi pestilenze diverse e ben peggiori.
Fra disordine e pandemia vi è un’affinità reciproca. Mitologicamente in Grecia la pestilenza non solo uccideva ma interrompeva tutte le attività umane (commerciali e umane). Allentava le relazioni tra persone, sfilacciando i legami.
È il male che colpisce gli uomini, e questo è un elemento che viene percepito come ineluttabile, inarrestabile e interminabile.
Il ruolo essenziale, in questo stato o in questa paura, è esercitato dalle tensioni e dal disordine che si crea nell’ambito dei rapporti umani.
Le componenti sociali diventano anch’esse una pestilenza.
Le relazioni umane smettono di funzionare e avviene il crollo di tipo sociale anziché fisico.
Le pandemie diventano metafora (o vie di sfogo) di una violenza diffusa che si trasmette in modo contagioso e indifferenziato.
L’idea del contagio implica qualcosa di nocivo, che non perde nulla della sua forza nel trasmettersi da un individuo all’altro. È uguale alla violenza che si trasmette senza fine per imitazione, sia per via indiretta (cattivo esempio) sia indiretta (controllo e repressione).
Nella paura della pandemia il panico prende la forma di chi non ha via di scampo. Perché sia che si resti passivi, sia che si provi a far qualcosa, tutto è inutile e tutto è controproducente.
Qui prende forma l’idea del “Capro Espiatorio”, di colui che porta tra gli altri la colpa originaria. Colui che se identificato o eliminato, con la sua scomparsa (o con il controllo esercitato su di lui) porterà via la peste.
Pestilenza che però è dentro l’animo di ogni essere umano e dentro ogni forma di collettività sociale.
Francesco Urbani
Psicologo-Psicoterapeuta-Supervisore
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it
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