C’è una forza e una energia misteriosa che si libera dalla musica e dalla danza. Proprio grazie ad esse l’individuo può andare oltre la propria personalità, scoprendo in tal modo una via di accesso verso l’invisibile.
E’ il superamento del corpo, andando oltre il confine di se stessi, entrando in contatto, e perdendosi nella gioia corale.
La persona si annienta, non in senso negativo ma ampliandosi, nella comunione con una divinità.
Questo “perdersi” è innanzitutto di origine “contagiosa” e si trasmette rapidamente a tutti i membri del gruppo. Tutti i convenuti alla danza, che come un incendio, si propaga senza possibilità d’arresto.
E’ una esperienza trasformativa, in cui si obbedisce ad un richiamo, come se non si fosse più liberi.
La divinità chiama e in questo senso gli adepti non possono che obbedire.
Questa chiamata non è sempre semplice, anzi può essere molto dolorosa, intrisa soprattutto all’inizio di angosce profonde e paura, ma l’esperienza è profonda e inarrestabile. Si getta il proprio dolore interiore in una dimensione esterna all’Io. In direzione della divinità da cui si è stati chiamati, ed è qui che ci si ritrova “rapiti” e “posseduti”.
I desideri dell’individuo sono annullati, perché esiste solo la volontà del divino.
La persona si scinde, e da un lato vi è la parte che ha scelto di aderire alla chiamata senza ribellione alcuna. Dall’altra c’è una parte che prova ad opporre resistenza, ma che comunque verrà annientata dalla divinità (dal dio Dionisio, che farà a brandelli questa zona del Sé).
La danza allora si fa rito, e soprattutto strumento di conoscenza, dove i limiti della personalità sono sfigurati e dilatati. E dove non esiste mediazione culturale perché chi cade in trance sperimenta fisicamente la presenza di una divinità all’interno del propri corpo, ricavandone una gioia e un potere, tanto forti quanto effimeri.
Questa esperienza, tra estasi e conoscenza, è intrisa di sentimenti di pienezza, proprio perché l’individuo ha incontrato direttamente la divinità, conoscendo la pace con gli altri uomini e con il mondo.
E’ la regressione alla purezza e alla beatitudine originaria.
L’uomo, in questa danza in cui si perde tramite la trance, arriva ad una armonia perfetta con l’insieme-mondo che lo contiene. Un mondo che è identificabile con la divinità, o con lo spirito, o con l’umanità.
L’uomo sente di far parte di un tutto. Di avere un preciso e specifico posto nell’universo. In tal modo essendo parte stesso della divinità che ha incontrato.
Inoltre, gli effetti dell’estasi (della danza come trance) non restano confinati a quello specifico momento. La persona arriva a percepire emozioni che gli sono precluse allo stato di coscienza, e se il “momento di follia” ha prima o poi termine, è vero che l’esperienza opera una trasformazione che è permanente.
Il rituale estatico è cronicizzato, ovvero diventa un elemento stabile dell’economia psichica di chi lo ha vissuto.
La persona, che è ormai seguace di Dioniso, lo sarà per sempre, instaurando un legame di dipendenza con la ritualità, arrivando così a strutturare in modo ricorsivo gli eventi.
Tutto ciò è molto diverso da chi persegue una mistica individuale (che è sempre irripetibile), in quanto in quella collettiva vi è la finalità dichiarata di riprodurre l’esperienza periodicamente.
I riti di possessione estatica pongono la follia sotto gli occhi del mondo, poiché trasformano i conflitti e l’irrisolto psichico, in una esperienza di comunione all’interno di una società armonicamente aggregata.
Francesco Urbani
Psicologo-Psicoterapeuta-Supervisore
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it
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Intestato a Blog Radio Kafka
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Immagine: Il sabba delle streghe di Francisco de Goya
Sabato scorso sono andata a vedere il saggio di danza africana di una amica. Adesso leggo questo articolo… Mi avete convinto: a settembre ci provo. Spero di aver maturato una sufficiente tenuta emotiva e determinazione… e che mi passi la gastrite.