Heathcliff, uno dei personaggi principali del romanzo di Emily Bronte, ha una storia difficile alle spalle E’ stato abbandonato quando era molto piccolo e, continuamente maltrattato, all’ennesimo rifiuto della persona amata decide di volgere tutta la sua vita all’odio e alla distruzione. Volgere? In realtà dalla sua prospettiva dovremmo dire “continuare”, dato che sembra una persona che mai ha conosciuto il bene. Resta comunque, che da quel momento, con freddezza calcolata e con pazienza misurata, fa in modo di porre tutte le persone che gli hanno fatto del male, sotto il suo potere. Un potere malefico, ovviamente, dove la compassione è completamente impossibile da attuare. Quindi lentamente toglie loro qualsiasi avere, dalle proprietà materiali alla dignità personale. Portando tutto e tutti ad un degrado fisico e morale da cui sembra impossibile risollevarsi. La questione però, è un’altra, che va al di là della storia del libro e della sua risoluzione. Ovvero la questione che questo racconto ci pone davanti è sul quanto sia giusto che Heathcliff applichi, e fino a qual punto, la sua personale vendetta.
“‘Lo so che ha un’indole cattiva’ disse Catherine ‘è suo figlio. Ma per fortuna la mia è migliore, e posso perdonare; so che mi ama, e per questo motivo lo amo. Mio caro signor Heathcliff, lei non è amato da nessuno; e, per quanto infelici possa renderci, la nostra vendetta starà nel sapere che la sua crudeltà nasce da una sofferenza più grande della nostra!'”
È vero che è stato un bambino abbandonato, di cui non si conosce la provenienza né addirittura il cognome (per tutto il libro sarà unicamente “Heathcliff”). È anche vero che chi lo ha trovato non ha saputo proteggerlo, ma anzi per troppo amore lo ha esposto alla cattiveria dei suoi pari. Inoltre, non dobbiamo dimenticare, che dopo la morte del padre adottivo, questo ragazzo è stato degradato, dal fratello a semplice “fattore”, perdendo ogni rapporto di valore all’interno della casa-fattoria. Per concludere la sua triste storia di disgrazie, non in ultimo, la sorella, da lui tanto amata e compagna di giochi, lo ha tradito, sposandosi e lasciandolo nuovamente solo. Ma tutto questo giustifica un’intera vita passata nell’odio? In questo Heathcliff, è veramente un personaggio anti-Dickensiano. Infatti, non è di certo il trovatello che trasforma la sua vita disgraziata in bene. Tutt’altro, lui decide consapevolmente di restituire tutte le cattiverie subite, trasfigurate ormai in un odio senza fine. Quello che però accade è che, accanto alla vendetta, lui stesso non riesce più ad uscire dal “mondo-male” in cui è stato portato da chi lo ha abbandonato.
“Non avevo abbastanza capacità di persuasione per combattere le parole di Heathcliff, e cancellarne l’effetto: le cose stavano andando secondo i suoi piani”
Di certo è comprensibile la rabbia, l’odio, la voglia di far provare agli altri quello che si è provato per se stessi. Ma in questo modo si finisce per diventare protagonisti dello stesso mondo terrificante in cui si è stati gettati da bambini. Innescando un vortice senza fine, e senza alternative, in cui il bene non ha alcuna speranza di poter emergere. Quel che resta è certezza che ogni vendetta finisca sempre per trasformarsi in una ossessione, che avvolge tutto e che termina con il fatto che il male maggiore lo si faccia a se stessi, dimostrandosi che del bene non si è capaci: e forse neanche degni.
Definire Catherine “sorella” di Heathcliff ha del paradossale, considerato il fatto che ciò che porta avanti la trama di questo romanzo è l’amore malato e mai consumato proprio dei due protagonisti. Secondo me, giudicare Heathcliff come fai tu è riduttivo. Io porrei piuttosto l’accento sull’inevitabilità del male (così come è inevitabile, assoluto e perenne l’amore che lo lega a Catherine). Heathcliff è stato prima abbandonato, poi accolto in una famiglia che l’ha trattato dal primo giorno come un essere aberrante. Lui risponde al male con il male, perché non può fare altro. I veri “cattivi” (anche se odio dividere i personaggi in questo modo, ma è per far capire il mio pensiero) della storia, dal mio punto di vista, sono tutti coloro che hanno portato Heathcliff a essere quello che è. D’altra parte, Catherine è l’unica (oltre al padre, il cui affetto per il ragazzo è istintivo, inspiegabile) che lo comprende, perché tra loro il rapporto è di completa identificazione: “I am Heathcliff!” spiegherà a Nelly. Infatti, anche in lei è presente il germe della malvagità: si diverte a torturare Heathcliff facendogli credere di non essere amato, così come si diverte a torturare Linton facendogli credere di essere amato, mentre è subdolamente disprezzato. Se leggi “Cime tempestose” pensando “quel personaggio si comporta male nei confronti degli altri, quindi è cattivo”, analizzando tutto secondo le categorie tradizionali (e superate) di bene e male, a mio parere tralasci sia il vero significato sia l’eterna bellezza di questo capolavoro.
Ciao Francesca, definisco Catherine come sorella di Heathcliff per il semplice motivo che “Il fatto che si chiami come un figlio degli Earnshaw morto nell’infanzia induce i critici a pensare che si tratti in realtà di un figlio illeggittimo del padre di Catherine: ciò confermerebbe…” (M. Giacobino). Ho adottato questo punto di vista condiviso dai critici (ma penso tu non abbia letto un’edizione tradotta ma direttamente in lingua originale dato che dici “I am Heathcliff” e non “Io sono Heathcliff”). Ovviamente i due punti di vista danno alla storia prospettive molto diverse.
Su una dicotomia bene-male resto legato alla dialettica tesi-antitesi, e quindi al superamento solo in un’ottica di tensione, o di sintesi. Quel che resta importante, oltre ad uno “spiegazionismo” che rischia di essere solo esercizio di stile, è il cercare di stare vicino al sentimento umano della “Vendetta” e dell’ossessione circolare che da essa deriva
Mi annoia andare a ripescare cosa dicono i critici, preferisco usare la mia testa. Non condivido assolutamente questa tesi del figlio illegittimo. Certo, ho letto il libro in lingua originale, più volte. Il mio commento nasceva soprattutto dal fatto che mi sono trovata a pensare: se qualcuno legge questo post senza aver mai letto “Cime tempestose” se ne fa un’idea completamente sbagliata (almeno secondo me). È ovvio e banale dire che partendo da punti di vista diversi si vedono cose diverse in un romanzo, ma prescindere dall’amore tra i protagonisti come elemento essenziale nell’analisi mi sembra poco utile e poco corretto.
Salve, grazie di questi spunti.
Razionalmente condivido le Sue (F. Urbani) considerazioni rispetto all’odio e alla vendetta come sentimenti e pratiche sterili e autolesive. Ma la mia parte irrazionale reclama ‘vendetta’ e vibra al suono delle Sue parole che percepisce frettolose e riduttive: non rendono giustizia all’immenso dolore inflitto a Heathcliff e a tutti gli ex-bambini maltrattati pesantemente come lui. E neppure al romanzo suddetto, che se uno lo ha letto con trasporto, poi potrebbe dissentire.
Imparare ad accettare, comprendere, elaborare il proprio dolore e la rabbia conseguente, riconoscere l’odio come un sentimento umano e non proiettarlo in giro… è una questione annosa.
Forse sarebbe più adatta una riflessione sull’odio e la vendetta, partendo da un testo come ‘La persecuzione del bambino. Le origini della violenza’, (Alice Miller). Testo molto attuale che permetterebbe di concentrarsi meglio sul senso profondo e sulle gravi conseguenze dei maltrattamenti o sulla banalità del male (Arendt), anziché citando ‘Cime Tempestose’, che rischia di distrarre i cuori più tumultuosi e meriterebbe una premessa un pochino più ampia… ma forse lo ha già trattato altrove nel blog, mi scuso, nel caso. Sono una follower recente! 🙂
Carissima. Concordo totalmente. Questa rapida riflessione nasceva anni fa da un circolo di lettura sul tema della vendetta. Proprio sul tema del male e della vendetta ho scritto un lungo lavoro preparato in due convegni internazionali. Spero di pubblicarli in modo da offrirle una riflessione più ampia e approfondita. Un caro saluto