La città si muove, travolta dalla sua quotidianità, oppure rallenta e quasi si ferma, in certi periodi estivi.
Apparentemente si svuota, ma non più molto. E’ solo una piccola frenata, come se le vite si potessero modificare in base alle stagioni. Come se, in alcuni periodi dell’anno, si potesse vivere una sospensione.
Eppure la vita non si sospende, perché continuamente fluisce e viaggia, influenzata dalle nostre scelte, e influenzata dal destino che ci è concesso. In questo senso possiamo pensare che la vita di un individuo possa non essere affatto armonica rispetto alla stagione che si sta vivendo.
Non tutti hanno la possibilità di lavorare durante i periodi invernali, e vivono con grande difficoltà questa condizione, di difficoltà economica e anche esistenziale. Eppure il mondo va avanti, a volte se ne accorge, altre volte è indifferente.
Lo stesso discorso vale per l’estate dove ci si dovrebbe (per consuetudine, e anche per bisogno) riposare e divertire. Ed è quello che viene ripetutamente proposto dai social. Basta sfogliarli per trovare foto di mare, sorrisi, montagne. Ma d’altronde chi posterebbe oggi una sua foto triste, all’interno di un appartamento di città, dove il caldo può essere devastante e insopportabile?
Chi avrebbe voglia di esibire la propria solitudine e l’assenza che ha attorno?
Nessuno, perché il bisogno, di chi è solo, di chi è in difficoltà, non è quello di esibire, ma di condividere.
Chi soffre, non ha bisogno di mostrare il proprio dolore, dato che purtroppo lo conosce benissimo. Avrebbe invece bisogno di un conforto, che non sia fatto di frasi banali, ma di vera presenza.
Chi soffre e chi è solo, ha bisogno di sentire che il proprio esistere prosegue nonostante la sofferenza. Che la propria identità non è solo lo star male, ma è anche fatta di altre dimensioni.
Il dolore le ha messe in ombra, ma la presenza dell’altro può riportarle alla luce. In una sorta di archeologia dell’essere e dell’esistere nel propria completezza. Perché altrimenti, chi soffre, è ridotto alla sua solitudine, e in questa viene circoscritto e ridotto.
I social la massimo esibiscono, e possono solo regalare una presenza effimera e superficiale, nei confronti della malattia.
Per il resto il dolore, la solitudine, la sofferenza ne sono esiliati nella loro essenza e nel loro bisogno di vicinanza umana e fisica.
Francesco Urbani
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it
www.radiokafka.it
“Al centro di Tokyo
un piccione ha fatto il suo nido
con chiodi spezzati.
Ha deposto il quel nido l’ira,
la rabbia, il riso che gli scorrono dentro.
Quel nido è gemito,
una preghiera, una chiara
volontà che gli scorre dentro.
Ma quello non è un nido normale
in cui deporre in modo giusto
e naturale le uova,
in cui nasceranno i pulcini sani
per mostrarli
“Guardateli,
guardateli, sono questi le uova e i pulcini”.Proprio al centro di Tokyo,
dove la gente vive come un fragile piatto,
profonda, cupa, tagliente metafora
è il paradosso: il piccione
con i chiodi spezzati
ha fatto il suo nido”
Kikuo Takano – Al centro di Tokyo – Da “Il senso del cielo”
Immagine di Ikenaga Yasunari
La vita prosegue, a prescindere dalle stagioni, sulle orme di ciò che è predestinato x ogni individuo. In estate, determinate tematiche risultano più “calorose” perché stridono con la positività di elementi che le immagini televisive e non, propinano. Pertanto solitudine, dolore, sofferenza restano più in penombra. Chi ha avuto il coraggio e la forza di gridarlo il proprio dolore, soprattutto attraverso i social, è stata offesa, intimata a tacere, a viverlo in privato. Resto incredula dinanzi a ciò perché credo che, anche se con la sola forza della parola ,si possa condividere, supportare, la solitudine che accompagna la sofferenza ed il dolore. Se poi fosse possibile anche presenza umana e fisica si riuscirebbe a cogliere la vera essenza della VITA…..ns dono primordiale❤