Se si subisce un’offesa (sia essa un gesto di disprezzo, di violenza fisica o verbale) e questa non viene vendicata, allora la vittima sarà pervasa da un senso di vergogna. Aristotele stesso, d’altronde, (e questo a verifica delle radici sociali di questo sentimento) diceva che era un atteggiamento da schiavi quello di sopportare l’oltraggio e far finta di nulla.
Tutto ciò perché si pensa che sia l’onore ad essere “attaccato” dall’offesa, e questo provoca “IRA”, un sentimento che è sempre rivolta verso chi offende (a differenza dell’odio, che è diretto generalmente verso entità astratte o categorie).
Il controllo dell’ira può avvenire unicamente attraverso il raggiungimento del “mesotes”, una posizione in cui gli estremi sono squalificati, e vi è equilibrio tra il cedere facilmente alla rabbia (iracondia) e il non cedere mai (indifferenza).
Quindi per l’ira, come per i sentimenti in generale, si possono avere più gradienti, che vanno dall’eccesso (iracondia) alla flemma (difetto totale di ira), passando per una parte intermedia (la “mitezza”).
Rispetto all’ira, per essere socialmente giustificata deve rivolgersi alla persona “giusta” (quella che è responsabile dell’offesa), con le modalità giuste, nel giusto momento e per un giusto tempo (ovviamente in tale prospettiva il “socialmente giustificata” può assumere diverse forme nel tempo e modificarsi anche sostanzialmente tanto risultare “stravolto” nel corso della storia e degli avvenimenti, soprattutto a lungo termine).
In quest’ottica la mitezza assume il senso di un’ira che è commisurata alla gravità dell’ingiustizia subita, parallelamente alla censura di un’ira eccessiva, caricata dall’orgoglio e dalla superbia.
La mitezza è quindi, fenomenologicamente quell’ira che è presente per il giusto tempo (e modo), affinché sia messa fine all’ingiustizia.
Tale mitezza si può raggiungere solo avendo una buona autostima e possedendo sensibilità nei confronti dei sentimenti altrui. La persona deve essere sempre pronta a combattere l’ingiustizia, ma non per questo vive il mondo come un’aggressione, riuscendo anche a non dare peso agli “insulti minori” o privi di fondamento.
Inoltre per raggiungere la mitezza (intesa in questo senso) non si deve avere un forte bisogno di riconoscimento della propria importanza.
È nell’iracondo che troviamo spesso un radicato senso di insicurezza (sia di sé stesso, sia del proprio ruolo), e in questa categoria è possibile determinare diverse “sottospecie”: come quella del “L’iracondo propriamente detto”, il quale subito si arrabbia e facilmente lo fa con le persone sbagliate. Oppure il “collerico” per cui ogni occasione è buona per mostrare la sua rabbia.
Inoltre c’è il “rancoroso”, il quale difficilmente riesce a smorzare la sua ira in tempi brevi, ma che anzi non riesce a porre un termine neanche dopo essersi vendicato.
Il generale la mitezza può essere fonte di coraggio, perché permette di affrontare le situazioni anziché fuggirle, o aggredirle. E questo avviene perché si riesce a “gestire” la propria rabbia in modo costruttivo e creativo.
Ovviamente si deve tenere sempre a mente che la stessa persona può essere mite, iraconda o rancorosa in contesti diversi ed in diverse situazioni stimolo. Come anche si deve tenere presente che vi sono persone le quali rispondono alle offese (anche molto diverse) sempre con le stesse modalità, oppure con tendenze prevalenti.