“Il mio lavoro è concepito specificatamente per essere grande, colorato e appassionante, ma non è fatto per essere spettacolare. Non sembra spettacolare.”
Fino a pochi anni fa, l’arte video è stata imprigionata nei piccoli contenitori dei monitor. Dagli inizi degli anni Novanta, le proiezioni video hanno conquistato la totalità dello spazio.
Diana Thater ne trae un considerevole vantaggio, eppure ignora deliberatamente la possibilità di perfezione tecnologica. Le sue immagini scorrono su pareti di muri aggettanti, a volte sovrapponendosi di pochi centimetri; di rado vengono proiettate esattamente sulla giusta angolatura, i colori sembrano sbagliati, e diverse immagini appaiono come se fossero sovrapposte. Ma quelli che potrebbero sembrare errori da dilettanti rappresentano invece un esame dettagliato dello strumento video. Le sfumature mettono in risalto i colori di cui è composta l’immagine, la presentazione senza pretese corrisponde alla possibilità di un impiego semplice di questo mezzo, e la sovrapposizione delle immagini è il risultato di un sofisticato dosaggio elettronico.
Questi aspetti formali, comunque, non possono mai predominare, perché Thater è anche molto interessata al contenuto. Lavora con animali, un pappagallo, una scimmia, due lupi e un branco di cavalli, appositamente addestrati per le riprese cinematografiche. All’interno di queste opere non sappiamo se la lupa sta di fronte o dietro di noi; se il branco di cavalli scalpita sopra o sotto di noi. Alcune di queste opere hanno testi narrativi, ma tutti sono pervasi dalla domanda fondamentale: chi domina chi? Gli esseri umani controllano gli animali o viceversa? Sono i media a dominare gli umani o è il contrario?…