Il percorso di cura non può prescindere dalle emozioni, sia del paziente sia del terapeuta. E soprattutto non può farlo eludendone la complessità, in quanto si ha sempre a che fare sia con fenomeni interni ed esterni.
Le emozioni sono il terreno su cui poggiamo i singoli passi che compongono la nostra vita, ed esse non sono facilmente comunicabili (a differenza dei pensieri).
Questo accade perché le parole non sempre riescono a far arrivare all’altro quel che si prova, e si sente, anche perché a volte ciò che si prova è oscura anche a noi stessi.
Le comunicazioni del paziente (di chi soffre, di chi ha bisogno di cure e di chi chiede aiuto) sono completamente avvolte da contenuti emotivi, i quali devono essere compresi. Per arrivare a questo bisogna conoscere anche le emozioni che sono in noi, per poter dare un senso al disagio che vive l’altro.
Particolare importanza, in questa prospettiva, sono le emozioni che prova il terapeuta davanti al paziente, perché ciò apre la comprensione degli accadimenti all’interno della relazione di cura.
Le emozioni non solo ci danno la possibilità di entrare in contatto con quello che accade in noi, ma forniscono l’occasione di conoscere, ed esplorare, le esperienze umane, in punti non raggiungibili dal pensiero razionale.
Questa “esplorazione con le emozioni” può portarci a toccare esperienze molto forti, legate ai disagi anche importanti e gravi, che i pazienti possono portare, creando la possibilità di un’intimità emotiva molto importante per la crescita di un rapporto di cura, basato sulla collaborazione e la fiducia.
Ci sono esperienze emotive che sono impossibili da comunicare con il linguaggio verbale. Sono le esperienze che vivono nell’ombra delle solitudini più profonde, oppure che abitano nell’indicibile vergogna.
Emozioni che attraversano il silenzio, e il gioco degli occhi, fino ad arrivare alla memoria emotiva.
Emozioni che possono essere esplorate soltanto se il terapeuta ha il coraggio, attraversando i suoi stessi vissuti, di andare incontro agli abissi di chi (magari in modo maldestro) sta chiedendo aiuto.
Il terapeuta deve saper cogliere le diverse sfumature del silenzio, per distinguere quelle che derivano dalla disperazione, da quelle che derivano dal bisogno di solitudine.
Passare lungo le diverse strade del proprio silenzio è, quindi, un passaggio necessario, dove si possono scoprire fragilità, ma anche risorse. In questi spazi di conoscenza, emotivamente connotati, si trova la possibilità di affrontare la trascuratezza e la negligenza. L’indifferenza.
Solo passando per queste vie si può, nel fondo, ritrovare l’essenza della persona. La sua spinta vitale e creativa. Il suo desiderio di “venire al mondo”, che si cela fra quegli spazi immensi, dove si possono scoprire le gioie, le paure, le speranze e tutta quella gamma di sentimenti che formano il suo stare attivamente nel mondo.
Il suo relazionarsi agli altri, nella continua scoperta, e costruzione, di legami autentici.