“Muoio di sete accanto alla fontana,
di caldo avvampo e tremo per il freddo,
rimango in patria e insieme sono all’estero,
presso il braciere tremo tutto ardente,
vesto da re e son nudo come un verme,
rido e piango, non spero ma attendo,
mi riconforto e triste mi dispero,
mi rallegro e non provo alcun godere,
son privo di potere ma potente,
son bene accolto e tutti mi rifiutano.Nulla mi è certo se non quel che è incerto
e oscuro se non quel che è evidente,
dubbi non ho se non su cosa certa,
tengo la scienza per un caso fortuito,
guadagno sempre ma resto perdente,
buona sera al mattino vi saluto,
giaccio sul dorso e temo di cadere,
ho quanto basta e non possiedo niente,
conto su un lascito e non sono erede,
son bene accolto e tutti mi rifiutano.Di nulla ho cura, ma ogni sforzo impegno
a acquistar beni ai quali non aspiro,
di più mi secca chi meglio mi parla,
e chi mi dice il vero più mi mente,
è mio amico chi mi fa capire
che un cigno bianco è come un corvo nero,
e chi mi nuoce credo che mi aiuti,
menzogna o verità per me è tutt’uno,
ricordo tutto e niente so pensare
son bene accolto e tutti mi rifiutano.Duca clemente, or vi piaccia sapere
che non ho senno o scienza e molto intendo;
che sono soggetto alle leggi comuni
ma che sono speciale. E che di più?
Ah, questo: voglio riaver quel che diedi.
Son bene accolto e tutti mi rifiutano.”(Ballata delle Contraddizioni)
–
Che cosa significa essere liberi? Di certo non la falsità di raccontarsi come persone integre ed integerrime. No, forse la libertà è autenticità. Anche quella di ammettere di essere tanti e mai uno solo, evitando così di rincorrere un modello di coerenza che è più “mistificazione” che non valore.
Questo tema solleva, assieme a tanti altri, la lettura di un testo meraviglioso, che da un lato ci fa compagnia nel nostro essere “umani” dall’altro ci pone davanti ai limiti del nostro stesso esistere.
François Villon – “Il Testamento e altre poesie”
Esce, per le edizioni Einaudi, una nuova traduzione di parte delle poesie dello scrittore francese del ‘400.
Autore fondamentale che ha influenzato diversi artisti contemporanei, di cui forse il più famoso, e quello che più lo ha rappresentato, resta Fabrizio de André (in maniera esplicita con La ballata degli impiccati, in modo implicito con tutta l’opera).
François Villon resta il prototipo, forse un po’ troppo dimenticato, dell’anarchico e del buffone (sempre che queste categorie possano realmente scindersi) portando con sé la capacità di cantare le contraddizioni dell’animo e della realtà umana.
Con lui avviene (e questo in pieno 1400) un superamento del discorso sulla “coerenza” (cioè su quel delirante ideale che l’essere umano possa essere un “tutt’uno” ), a favore di una molteplicità dell’esistenza insito in ognuna di noi. Ed in questo si avvicina, e spiega perfettamente, un passaggio che abbiamo visto in “L’amore ai tempi del colera” (G. Garcia Marquez) in cui Florentino Ariza (protagonista maschile del romanzo) dice che “il cuore ha tante stanze e ci si può innamorare di più donne contemporaneamente”.
Villon ha ricoperto nella sua epoca, il ruolo del bandito e del buffone, con il significato però che veniva dato all’epoca a questi due termini. Ricoprendo quindi un ruolo di rottura con il potere oppressivo, e riportando alla luce la condizione delle persone comuni, in tutti i loro pregi e difetti.
Con lui, come avverrà con Rebelais successivamente, la persona “normale” ritrovava la sua condizione naturale e soprattutto la sua corporeità e sensibilità. La vita veniva cantata per quello che era, senza lirismi inutili, atti più a nascondere che non ad illuminare.
Il poeta francese, che poco più di trent’anni visse, rappresenta quello che è stata la storia del “Carnevale” (prima che l’età vittoriana ne cambiasse il significato portandolo da positivo a negativo), ovvero la congiunzione tra stile e realismo, tra poesia e condizione esistenziale.
Sono questi solo alcuni motivi per non perdere nessuno degli scritti, e degli insegnamenti, che il maestro francese ci ha lasciato nella sua brevissima vita.
“Fratelli umani, voi ancora vivi,
non siate duri di cuore con noi!
Se di noi miseri avrete pietà
più presto l’avrà Dio anche di voi.
Qui ci vedete in cinque o in sei appesi:
la nostra carne anche troppo nutrita
da un pezzo è divorata e imputridita,
e cenere noi, le ossa, siamo e polvere.
Del nostro male non rida nessuno,
ma Dio pregate che ci voglia assolvere!Non vi rincresca il nome di fratelli
che, benché giustiziati, noi vi diamo…
Sapete bene, tuttavia, che a posto
non hanno tutti gli uomini la testa.
Per noi che siamo morti intercedete
col figlio della Vergine Maria!
La sua grazia per noi non sia estinta
e ci salvi dai fulmini infernali.
Noi siamo morti, non ci sbeffeggiate,
ma Dio pregate che ci voglia assolvere!La pioggia ci ha lavati e ripuliti
e il sole ci ha seccati ed anneriti.
Gazza e cornacchie ci han cavato gli occhi
e strappata la barba e i sopraccigli.
Non stiamo fermi mai, neanche un attimo,
di qui, di là, il vento appena varia
dondolare ci fa come a lui piace,
butterati a ditale dagli uccelli.
Non siate della nostra compagnia,
ma Dio pregate che ci voglia assolvere!O Gesù, che su tutti hai signoria,
salva l’anima nostra dall’inferno,
con cui niente vogliamo spartire.
Qui non c’è niente da scherzare, Umani,
ma Dio pregate che ci voglia assolvere!”(Ballata degli impiccati)
qui la scheda del libro http://www.einaudi.it/libri/libro/fran-ois-villon/il-testamento-e-altre-poesie/978880621331