Nel 1953 J. D. Salinger pubblica il suo secondo libro: Nove racconti. La raccolta si compone di diverse storie nelle quali sono fortemente rintracciabili elementi biografici che hanno caratterizzato l’intera vita dello scrittore delineandone un profilo che lo rese un mito. In particolare una di queste toccò aspetti fondamentali, si tratta di “Per Esmé: con amore e squallore”.
La storia si sviluppa in un racconto dentro al racconto. Esmé è una bambina di 13 anni che il soldato X incontra in una caffetteria dove lei si trova con il fratellino e la governante. Il dialogo tra i due è delicato ma non manca di toccare argomenti scottanti come la guerra. Attraverso la narrazione Salinger fa riferimento al Vedānta (a cui si dedicherà tutta la vita) descrivendo un’esistenza, una morte, una rinascita e utilizzando un koan zen come gioco tra lui ed il fratellino di Esmé. Interessante è anche la seduzione messa in atto da Esmé, che si pone nella storia come una ragazza ben più grande dei suoi 13 anni.
Quando la governante conduce via i bambini, la ragazzina, prima di andare, chiede al soldato di scriverle un racconto che raccolga in sé l’amore e lo squallore; lei gli scriverà delle lettere (se lui è d’accordo) perché “scrivo lettere particolarmente articolate per una persona della mia …” età, parola che Salinger lascia in sospeso, ma che sarà un punto cruciale nelle relazioni che lo scrittore intreccerà nell’arco della sua vita. Una di queste il rapporto con Jean Miller, amicizia importante iniziata quando la Miller aveva 14 anni e Salinger 30, identificata come la musa che ispirerà il personaggio di Esmé in questo racconto e di Sybil in “Un giorno ideale per i pescibanana”.
La prima parte della storia termina con la ragazzina che se ne va augurandogli di tornare dalla guerra con tutte le facoltà intatte. Poi, lo scenario cambia notevolmente. Salinger passa da un racconto in prima persona ad uno in terza persona, provocando il lettore, per sottolineare come sia forte la presenza dell’autore nel personaggio in cui si nasconde.
La guerra è finita, il soldato soffre di diversi disturbi. Il dialogo tra lui ed un commilitone mette in luce lo squallore che ha vissuto e quanto sia lontana quella persona che solo qualche anno prima era seduta con Esmé nella caffetteria. Emerge qui lo spettro del disturbo post traumatico da stress, l’ombra del suicidio — Salinger lavorò veramente nell’intelligence dell’esercito e fu ricoverato in ospedale alla fine della guerra per un crollo nervoso. Meditava di spararsi ad una mano e i riferimenti che fa in tutto il racconto riconducono ai nodi nel suo rapporto con la scrittura: i compagni di battaglione che passavano il tempo a scrivere lettere, il rumore delle penne come unico suono, lui stesso autore delle lettere che un suo compagno spediva alla propria fidanzata. La scrittura e le mani, sempre. Il soldato è privo di nome, come se l’autore volesse cancellarlo, togliergli simbolicamente quello che la guerra toglie agli esseri umani.
Il racconto si conclude con un epilogo di buon auspicio. Il soldato ha sul tavolo diversi pacchi che non ha mai aperto. Ne prende uno e scopre che all’interno c’è un dono e una lettera di Esmé. Una lettera dove traspare l’innocenza sempre ricercata da Salinger nelle donne della sua vita, dove si può cogliere la fiducia di cui ha bisogno per vivere le sue complicazioni di uomo.
Qui mi fermo, per non rovinare il finale di questa storia che resta, senza dubbio, un piccolo capolavoro tra i racconti di Salinger. Vi lascio però con una pagina del racconto, un frammento, che può considerarsi una perla dell’autore.
Read Time:3 Minute, 5 Second