I
Mi duole il cuore e sonnolento affligge
i miei sensi un torpore di cicuta
o di greve sonnifero (ne bevvi
fino alla feccia forse or è un istante?),
così che sembro sprofondato in Lete:
oh non perché invidioso di tua felice sorte,
ma perché della tua felicità
troppo felice, perché tu cantando
vai con ali leggere,
o Driade degli alberi,
a dispiegata gola agevolmente
l’estate in un recinto
melodioso di faggi verdi e d’ombre
innumerevoli.
II
Potessi bere un sorso di vendemmia
a lungo rinfrescato nel profondo
della terra scavata, saporoso
di Flora e di campagna
verde e di danza e canti provenzali
e assolata allegria!
Bere una coppa colma
del caldo sud, ricolma del verace
Ippocrene arrossato,
perlacee bolle occhieggiando sull’orlo,
colorato di porpora la bocca;
bere e lasciare non veduto il mondo
e svanire con te nel bosco opaco.
III
Dissolvermi, svanire via lontano,
e quello obliare che tu tra il fogliame
non conoscesti mai,
ansia, languore, febbre,
qui dove stanno gli uomini ascoltando
l’un dell’altro il lamento e gioventù
impallidisce, si fa spettro e muore;
qui dove ogni pensiero ci ricolma
di disperato duolo
dalle ciglia di piombo,
dove scuote paralisi gli scarsi
cadenti malinconici capelli
grigi, e bellezza gli occhi luminosi
non serba, né per essi un nuovo amore
si strugge oltre domani.
IV
Via, via, perché io voglio a te volare
non sul carro di Bacco e dei leopardi,
ma sull’ala invisibile
di Poesia, benché la mente ottusa
ci confonda ed attardi. Già con te!
Tenera è la notte,
e forse in trono la Luna, la Regina
sta con intorno grappoli di Fate
stellari, ma non penetra la luce
qui, se non quanta con le brezze spira
dal cielo fra le tenebre del verde
per sentieri di muschio sinuosi.
Traduzione di Mario Roffi, da John Keats, “Poesie”, edizioni Einaudi, 1983