Là, dove l’amore allatta e nutre la sua creatura più bella.

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Si può stringere un cuore fra le mani, senza sentirne le schegge di vetro che entrano nella pelle?
Chiedendosi inevitabilmente se siano stati noi a romperlo, ancora una volta sgraziati nel nostro desiderio, oppure consapevoli che ogni cuore ha già subito qualche scarabocchio del tempo?

Resta il dubbio, perché quando si ama ogni certezza scivola via nell’oblio, in assenza di ombra. Scomparsa sotto la luce accecante della passione.
Ci si addentra in profondità sconosciute. L’altro. Con la stessa felicità di quando si aspetta, da bambini, un dono. Ma con la rinnovata consapevolezza (sempre inascoltata) che questo cammino sarà molto più complesso, e accanto la gioia ci saranno nuove ferite.
Nuovi tagli a modificare, ancora una volta, la nostra pelle affettiva. Come se già tutte le precedenti non fossero già state abbastanza.

Un viaggio di chilometri nella direzione del centro dell’altro, sapendo che non si ha alcuna mappa.
Sapendo che non ci sarà mai un’effettiva meta finale.
Tutto quello che abbiamo capito, nelle esperienze precedenti, deve assolutamente essere dimenticato.
Non c’è stato d’aiuto prima. Sarebbe ancora peggio adesso.
Dove lo scopo resta quello della scoperta. Accettare l’incontro con il mistero. Con il dubbio. Con l’incertezza. Sapendo che ci sarà sicuramente un prezzo. Ma senza sapere quando arriverà il conto. E se sarà proporzionato o meno.

Lo sguardo si posa sulle labbra. I pensieri, tutti i pensieri precedenti si sono già fatti lontani. Resta quell’immagine. Che diventa il tutto. Ciò che è desiderato.
Tutto lì. Il mondo ormai lontanissimo, con il suo vociare, reso inutile da tutta la passione, tutto l’amore che abbiamo e riceviamo.
Ci pieghiamo, per poggiare la nostra testa sul cuore. Sentiamo terrore, piacere, calore, timore. Siamo là. Non potremmo mai essere altrove.
Questo lo sappiamo.
Forse questa è l’unica certezza che abbiamo.

In tutto quell’universo strampalato di sentimenti, da cui ogni ragione ci inviterebbe a fuggire, sappiamo che è proprio quello il nostro luogo.
La nostra casa. La dimora.

Abbiamo attraversato le tenebre, i mormorii di chi ci diceva di scappare restando ben protetti. Restando coperti.
E alla fine siamo giunti là dove l’amore allatta la sua creatura più bella.
Là dove un viso di sole ci accoglie come terra madre.

Le dita si impigliano fra i capelli. Ci si potrebbe allontanare, ma con la certezza di perdere la testa.
Restiamo, arresi a quel mondo nuovo che è nato. In questo sconosciuto spazio che sentiamo di aver sempre cercato senza neanche mai saperlo.

Il silenzio ci bacia.
Qualcosa scivola in terra. Caduto dalle nostre mani. Ormai votate solo all’abbraccio.
Solo all’andare incontro. Un bacio, l’ignoto, e l’assenza totale di qualsiasi spiegazione.

Francesco Urbani
Psicologo-Psicoterapeuta-Supervisore
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it
www.casadinchiostro.it

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Immagine: Le Baiser de l'Hôtel de Ville, Paris, 1950, Robert Doisneau
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