Quando si è vittime di indifferenza la relazione con l’altro è possibile solo da una posizione di osservatore. L’altro può essere visto mentre conduce la sua vita tra alti e bassi, e tra fallimenti e successi, ma lo sguardo non è mai ricambiato. Non c’è alcuna reciprocità e nessuna simmetria di incontro.
Tutto questo come se la vittima non solo fosse “insignificante”, ma neanche “degna di essere notata”.
Eppure la vittima ha la chiara percezione che nel tempo passato questa attenzione era presente, in forma più o meno qualitativamente importante, ma presente. Perché è nella “sottrazione” che il sentimento di “Indifferenza” emerge, e viene percepito.
L’indifferenza viene avvertita laddove prima c’era uno sguardo, una relazione, un dialogo che poi ad un certo momento, più o meno improvvisamente, è venuto a mancare.
Allora il legame è diventato inaccessibile, un campo di “insignificanza” e invisibilità rende impotente la comunicazione, e per questo l’unica possibilità lasciata alla vittima è quella di “spettatore”.
L’avvicinamento non è in alcun modo praticabile, se non al costo di avvertire come insostenibile la propria solitudine e la propria mancanza di significato per l’altro.
L’abuso che prende la forma dell’indifferenza non è mai chiaramente visibile, ma è sempre circondato da un silenzio ambiguo che lo rende di difficile interpretazione (inizialmente). Ed anche quando diventa evidente, chi lo procura, può negare finché vuole, tanto la vittima non avrà mai prove tangibili.
Questo meccanismo, doloroso, perverso e legato a logiche di potere, si pone in luce soprattutto per il fatto che non c’è mai un’aperta mancanza di rispetto nei confronti della vittima, anzi apparentemente vi è l’opposto. La vittima, se si avvicina, viene accolta però quello che mancherà sarà la possibilità di una “incisività” soggettiva verso l’altro.
La vittima dell’indifferenza non avrà mai alcuna influenza nella relazione con il suo abusante, perché la’ltro agirà sempre come se non vi fosse “esistenza”. La relazione è connotata da “silenzio ambiguo”, il quale è maschera violenta della distanza, e della freddezza, relazionale.
Al massimo si può restare sulla soglia di questo rapporto, in una libertà che è solo apparente in quanto non scelta, ma imposta. Vicinissimi fisicamente si è alla massima distanza dalla possibilità, anche minima, di appartenenza.
La differenza può farla solo il desiderio, che può essere salvifico quando è motivazione a trovare un mondo relazionalmente diverso. Più consono ai propri bisogni e diritti.
Mentre può essere mortifero se centrato sull’illusione che l’altro modificherà il proprio atteggiamento, perché essendo intriso dalle “metastasi del potere”, non cambierà mai.
Francesco Urbani
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