“Perché non c’è nulla di sorprendente come la vita. Tranne lo scrivere. Lo scrivere. Si, certo, tranne lo scrivere, l’unica consolazione che abbiamo”.
Sembra estranea, a volte, anche la città che abitiamo e che pensiamo di conoscere da un’intera esistenza.
Ci perdiamo nella sua storia, in cui i tanti strati si sono ormai confusi fra loro. E ci perdiamo nella pioggia, che riflette la luce del cielo, tornato stellato, sull’asfalto.
Figura e sfondo dove ritrovano un nuovo presente le impressioni e i ricordi.
La città in cui camminiamo, lungo strade che abbiamo percorso innumerevoli volte, si mostra sconosciuta. È una città uguale a tante altre, eppure profondamente diversa. È la città in cui risiede la nostra dimora, eppure ci è estranea.
Come labirinto interiore, dove gli spazi si alternano fra luce e buio.
“Così odiò il suo intelletto che non riusciva a stare senza intrecci narrativi, come un bambino sempre alla ricerca di divertimento”.
Dove sensazioni, che un istante prima ci facevano compagnia, hanno lasciato il passo ad altre nuove. Tutte da scoprire.
Ritorniamo, con il pensiero, a chi eravamo, nella speranza di ritrovarci, incontrando però solo persone a cui un tempo abbiamo rubato il sorriso, perché ci piaceva più del nostro.
Ci confondiamo con le persone di cui vorremmo l’esistenza, o almeno quelle autentiche maschere che indossano.
Cerchiamo e troviamo noi stessi, unicamente in quel luogo in movimento, che è lo stesso in cui ci eravamo persi.
“E’ soltanto quando non resta più nulla da raccontare che si arriva vicini a essere se stessi. Solo quando i fatti da narrare si sono esauriti, quando si avverte nell’intimo un silenzio profondo perché libri, ricordi, storie e la stessa memoria si sono spenti, solo allora si può udire la propria vera voce, quella che può davvero farci emergere dagli abissi dell’anima, dal buio degli interminabili labirinti del nostro essere”.