I genitori con figli iperattivi hanno frequentemente la sensazione di essere in una situazione di pericolo, e questo a causa del fatto che pensano il loro bambino possa rispondere agli accadimenti in modo imprevisto e improvviso.
D’altronde non è affatto semplice stare davanti ad un bambino che è continuamente in movimento, che è spesso disorganizzato e che conseguentemente crea crea confusione in ogni contesto in cui viene a trovarsi.
Il genitore, inoltre, ha spesso la sensazione che suo figlio non sia mai completamente “presente”, come pensasse sempre ad altro rispetto ciò che sta facendo.
La percezione è quella di un bambino dominato da “esigenze interne”, dove l’aspetto relazionale è sempre in secondo piano.
Tutto ciò porta alla sensazione che sia la relazione ad essere influenzata da lui (o meglio dal suo “disturbo”) e non è mai ad influenzare lui! In tal modo tutto viene sentito come svalutato e svilito. Come se il mondo, l’altro e quindi anche il genitore possa solo “sottomettersi” alla disorganizzazione del figlio.
Il bambino può fare danni e basta molto poco per provocare reazioni difficili da contenere. In questo senso sembra di “camminare sulle uova”. E il livello di attenzione è sempre elevatissimo, mentre sembra impossibile l’accesso alla leggerezza, alla spensieratezza. Quindi anche al gioco.
Il genitore può essere, a volte, pervaso da sensazioni di preoccupazione, attenzione e allarme, perché sente un costante disarmonia di suo figlio rispetto al contesto. Come se il bambino “leggesse” il contesto, non in “modo socialmente condiviso”, ma in “modo del tutto personale”, quindi imprevedibile e confondente.
Tutto questo porta il genitore a non vedere le potenzialità del figlio, e a distorcere la percezione soprattutto rispetto alla sfera emotiva.
Vi è il forte rischio che il bambino venga percepito unicamente come “pericoloso”, e mai visto sotto gli aspetti emotivi che lo abitano.
Affetti come dolcezza, tenerezza, amore, sensibilità, sono negati e non visti, portando il bambino a sentirsi solo e non capito e quindi ad accentuare le sue difficoltà (anche perché seppur dolorose sono le uniche in cui sente le attenzioni).
Il bambino rischia di essere visto sempre “lontano” dalle relazioni, mentre non è affatto così, perché come tutti ha un innato bisogno di socialità e di amore.
Le sue competenze rischiano, conseguentemente di essere sottovalutate, non viste e quindi non potenziate.
Deve essere recuperata, da parte dei genitori, un’immagine del proprio figlio meno “malata”, meno legata alla diagnosi. Dove evidenziare e valorizzare competenze, capacità e risorse personali. Va ripensato un bambino nel suo percorso di crescita, con le sue fragilità ma anche con le sue grandi potenzialità evolutive.
Guardare al bambino nella sua globalità e totalità, e non solo nelle sue difficoltà, può aiutare il genitore di provare alcune specifiche emozioni che influenzano negativamente la relazione con il figlio, e non lo aiutano a crescere sviluppando le sue capacità e doti.
Emozioni negative come sentire il bambino come costante fonte di pericolo e imprevisto. Fonte di insofferenza, impotenza, rabbia, controllo, paura, accudimento eccessivo.
Questo è un genitore che si sentirà sempre frustrato e impotente, e percepirà il bambino come “in opposizione”.
Stabilendo una relazione di “muto attacco”.
È un genitore che si sente svilito nel proprio ruolo e come persona. Mancante di autorevolezza.
Altro sentimento pervasivo che può pesare sui genitori è quello del dover essere iper protettivi. È il caso in cui il bambino è costantemente esperito come inadeguato e a rischio di insuccesso.
Tutto questo può portare ad un circuito di svalutazione in cui vengono rinforzate nel bambino le difficoltà. Quasi negandone le capacità e soprattutto le potenzialità.
Tutte queste emozioni, rappresentazioni affettive, raccontano la difficoltà dei genitori, e il loro tentativo di non entrare in contatto con la propria sofferenza, con il proprio dolore e rabbia. Creando una distanza che falsamente protegge.
È la distanza basata sull’etichetta e sulla diagnosi, mentre è importante recuperare una relazione in cui vi sia una migliore regolazione emotiva, e dove tutti possano sentire di essere accolti nella loro globalità.
Ognuno con le proprie caratteristiche, con in propri limiti e le proprie risorse.
Perché nelle relazioni parziali, dove ognuno vede di se stesso e dell’altro, soltanto una parte, non vi può essere che frustrazione, dolore, solitudine e svalutazione.
Francesco Urbani
Psicologo-Psicoterapeuta-Supervisore
“Cerchi nella notte” Il libro
urbani@casadinchiostro.it
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