Non è solo una discussione sulla “Teoria dell’omicidio”, quella che intercorre tra l’ispettore Barlach e l’anima nera Gastmann ne “Il Giudice e il suo Boia”.
E’ lo scontro tra due opposti sistemi filosofici, con cui intendere l’essere umano, il suo esistere, e il suo relazionarsi con l’altro.
Questo il passaggio centrale della discussione…
“La tua tesi era questa: che l’imperfezione umana, il fatto che le azioni degli altri non sono mai del tutto prevedibili e che del resto non possiamo mai, nei nostri calcoli, tener conto del caso, il quale tuttavia ha la sua parte in tutto, fosse il motivo per cui la maggior parte dei delitti vengono immancabilmente in luce.
Dicevi che era una sciocchezza commettere un delitto, perché ti sembrava impossibile usare la gente come pedine degli scacchi.
Io invece più per contraddirti che per convinzione, sostenevo la tesi che proprio la confusione dei rapporti umani rendeva possibili delitti che non potevano essere scoperti, e che proprio per questo motivo la maggior parte dei delitti restavano non soltanto impuniti ma anche insospettati.”
[pag. 62]
Certamente, questo scambio di prospettive è degno di Dostoevskij, ma proprio questi sarebbe capace di sorprenderci, rispondendo con le parole del Doge nell’Otello di Shakespeare…
“Finiti i rimedi, finisce il dolore
Perché si vede il peggio che prima dalla speranza
Dipendeva. Piangere su un male
Che è passato, è la strada migliore
perché altro male venga procurato.
Ciò che quando la fortuna lo toglie
Non può essere conservato, irride all’offesa
Se con pazienza viene sopportato.
Il derubato che sorride ruba qualcosa
Al ladro, chi patisce un dolore vano
Ruba a se stesso.”
[Atto I, scena 3]
Perché “la dialettica deve lasciare il posto alla vita”, come ci insegna lo scrittore russo in “Delitto e Castigo”.